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CREDITI D’IMPOSTA NON SPETTANTI E INESISTENTI

La nuova disciplina amministrativa

La riforma fiscale degli ultimi anni ha inciso in maniera significativa anche sulla disciplina dei crediti d’imposta.

Con il D.Lgs. n. 87/2024, il legislatore ha introdotto una distinzione netta tra crediti non spettanti e crediti inesistenti, rispondendo a un’esigenza di chiarezza che in passato aveva alimentato incertezze interpretative e contenziosi.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con l’atto di indirizzo del 1° luglio 2025, ha fornito ulteriori chiarimenti, offrendo così un quadro più solido e uniforme per imprese, professionisti e operatori del settore.

La rilevanza sul piano amministrativo

La distinzione non è di mero interesse teorico, ma ha conseguenze dirette sul regime sanzionatorio e sulle modalità di recupero da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Per i crediti inesistenti, ossia quelli privi in tutto o in parte dei requisiti oggettivi o soggettivi previsti dalla normativa, la sanzione amministrativa è pari al 70% dell’importo compensato in modo indebito, con un aggravio ulteriore (dalla metà al doppio) qualora vi siano condotte fraudolente (art. 13, commi 5 e 5-bis, Dlgs n. 471/1997).

Diversamente, per i crediti non spettanti, cioè quelli che pur avendo un fondamento normativo sono stati utilizzati in maniera difforme rispetto alle regole stabilite ossia “quando il credito è utilizzato in difetto dei prescritti adempimenti normativi non previsti a pena di decadenza e le relative violazioni non sono state rimosse, entro i termini stabiliti dal comma 4-ter”, si applica una sanzione pari al 25% del credito compensato (art. 13, comma 4-bis, D.Lgs. n. 471/1997). In presenza di semplici irregolarità formali, sanabili entro i termini, la normativa prevede una sanzione fissa di 250 euro (art. 13, comma 4-ter, D.Lgs. n. 471/1997).

Anche i termini per il recupero sono differenziati: cinque anni per i crediti non spettanti e otto anni per quelli inesistenti (art. 38-bis DPR n. 600/1973).

La definizione di crediti inesistenti

Alla luce delle modifiche introdotte, sono considerati inesistenti i crediti che mancano dei presupposti previsti dalla disciplina di riferimento oppure quelli per i quali tali requisiti siano stati rappresentati in modo fraudolento, ad esempio tramite documenti falsi o artifici.

La nuova definizione ha superato la precedente, più limitata, che legava l’inesistenza soltanto all’impossibilità di riscontrare il credito attraverso i controlli automatizzati e formali. Oggi, invece, si parla di inesistenza anche in presenza di controlli che, pur rilevando un credito, ne evidenzino la mancanza dei presupposti sostanziali.

In concreto, può trattarsi di un credito fruito da un soggetto non legittimato, della mancata effettuazione dell’operazione che ne costituisce il presupposto, o ancora del mancato rispetto di obblighi essenziali richiesti dalla norma istitutiva.

La nozione di crediti non spettanti

Il D.Lgs. n. 87/2024 ha per la prima volta introdotto una definizione normativa dei crediti non spettanti, articolata in tre ipotesi principali.

La prima riguarda i crediti utilizzati senza aver rispettato adempimenti amministrativi espressamente previsti a pena di decadenza.

La seconda ricomprende i crediti fruiti in violazione delle modalità di utilizzo fissate dalla legge: a titolo esemplificativo pensiamo al caso di un credito che deve essere ripartito in più anni ma che viene utilizzato in un’unica soluzione. E ancora, quando il credito viene fruito oltre i limiti di compensazione di cui agli art. 1, comma 53, L. n. 244/2007 e art. 34 L. n. 388/2000 (ora inserito nell’art. 3, D.Lgs. n. 33/2025). Oppure, la possibilità o meno di compensare in relazione al tipo di debito da estinguere, o la cessione del credito anziché il suo utilizzo in compensazione.

La terza riguarda i crediti che, pur rispettando i requisiti oggettivi e soggettivi previsti dalla norma, mancano di ulteriori elementi o qualità richiesti per il loro riconoscimento.

È questa la situazione più frequente che si riscontra nei crediti per ricerca e sviluppo o innovazione, dove la qualificazione tecnica delle spese è spesso decisiva.

La certificazione come strumento di tutela per il riconoscimento dei crediti per ricerca e sviluppo

Per ridurre i margini di incertezza operativa e per ridurre le controversie sulle qualificazioni delle spese effettuate, con l’introduzione dell’art. 23 del D.L. n. 73/2022 il legislatore consente alle imprese di richiedere a professionisti qualificati una certificazione che attesti la corretta qualificazione degli investimenti effettuati o programmati.

L’attestazione, se rilasciata, può rappresentare una vera e propria tutela preventiva: un eventuale atto dell’Amministrazione basato esclusivamente sulla qualificazione tecnica dell’investimento potrebbe, infatti, essere dichiarato nullo. In tal modo si riducono le aree di incertezza e si rafforza la posizione del contribuente.

In pratica, la certificazione può essere richiesta, purchè non siano già state accertate violazioni nell’uso dei crediti tramite processo verbale, per confermare:

  • se gli investimenti, già effettuati o ancora da realizzare, rientrano tra le attività di ricerca e sviluppo, di innovazione tecnologica o di design e innovazione estetica;
  • se le attività di ricerca e sviluppo rispettano quanto previsto dall’art. 3 D.L. n. 145/2013;
  • se le attività di innovazione tecnologica sono rivolte al raggiungimento degli obiettivi di innovazione digitale 4.0. e di transizione ecologica, così da poter applicare la maggiorazione dell’aliquota del credito di imposta prevista dal quarto periodo del comma 203 e dai commi 203-quinquies e 203-sexies art. 1 L. n. 160/2019.

 

  • Data inserimento: 25.08.25
  • Inserito in:: FISCO
  • Notizia n.: 6858