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“Ecocentri comunali”: quando le aziende possono portare i loro rifiuti assimilati agli urbani

Limiti quantitativi e qualitativi. Scheda rifiuti per accedere all’ecocentro (e non più il formulario per la consegna dei rifiuti assimilati). Iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali per il trasporto dei propri rifiuti

Cercando di sintetizzare l’ampia normativa in materia, si specifica quanto segue:

1. Le aziende possono portare negli “ecocentri” comunali, i loro rifiuti assimilati agli urbani?

Possono farlo solo nel caso in cui l’amministrazione comunale (e non altri soggetti), tramite il consiglio comunale,  abbia deliberato in tale senso. Tale deliberazione può essere riportata nel regolamento per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, o in alternativa può essere specifica. Nella sostanza l’Amministrazione può decidere che nell’ambito del servizio pubblico di raccolta dei rifiuti solidi urbani  possano essere smaltiti anche i rifiuti speciali assimilati agli urbani. Con la delibera comunale, alcuni rifiuti speciali possono essere immessi nel servizio pubblico. Per tale motivo si parla di assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani. L’assimilazione è quindi una prerogativa di esclusiva competenza comunale. Ovviamente l’utilizzo, da parte delle aziende, dell’ecocentro comunale, è possibile nel solo caso in cui questo sia appunto previsto dal comune.

2. Quali sono i rifiuti speciali che possono essere assimilati dal comune e che quindi potenzialmente potrebbero essere smaltiti tramite il servizio pubblico?

L’elenco è quello previsto dalla deliberazione del Comitato Interministeriale 27/07/1984, che di seguito si riporta:

Rifiuti speciali che abbiano una composizione merceologica analoga a quella dei rifiuti urbani o, comunque, siano costituiti da manufatti e materiali simili a quelli elencati nel seguito a titolo esemplificativo:

— imballaggi in genere (di carta, cartone, plastica, legno, metallo e simili);

— contenitori vuoti (fusti, vuoti di vetro, plastica e metallo, latte o lattine e simili);

— sacchi e sacchetti di carta o plastica; fogli di carta, plastica, cellophane;

— cassette, pallet;

— accoppiati quali carta plastificata, carta metallizzata, carta adesiva, carta catramata, fogli di plastica metallizzati e simili;

— frammenti e manufatti di vimini e di sughero;

— paglia e prodotti di paglia;

— scarti di legno provenienti da falegnameria e carpenteria, trucioli e segatura;

— fibra di legno e pasta di legno anche umida, purché palabile;

— ritagli e scarti di tessuto di fibra naturale e sintetica, stracci e juta;

— feltri e tessuti non tessuti;

— pelle e similpelle;

— gomma e caucciù (polvere e ritagli) e manufatti composti prevalentemente da tali materiali, come camere d'aria e copertoni;

— resine termoplastiche e termoindurenti in genere allo stato solido e manufatti composti da tali materiali;

— rifiuti ingombranti analoghi a quelli di cui al punto 2) del terzo comma dell'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982;

— imbottiture, isolanti termici ed acustici costituiti da sostanze naturali e sintetiche, quali lane di vetro e di roccia, espansi plastici e minerali, e simili;

— moquette, linoleum, tappezzerie, pavimenti e rivestimenti in genere;

— materiali vari in pannelli (di legno, gesso, plastica e simili);

— frammenti e manufatti di stucco e di gesso essiccati;

— manufatti di ferro tipo paglietta metallica, filo di ferro, spugna di ferro e simili;

— nastri abrasivi;

— cavi e materiale elettrico in genere;

— pellicole e lastre fotografiche e radiografiche sviluppate;

— scarti in genere della produzione di alimentari, purché non allo stato liquido, quali ad esempio scarti di caffè, scarti dell'industria molitoria e della pastificazione, partite di alimenti deteriorati, anche inscatolati o comunque imballati, scarti derivanti dalla lavorazione di frutta e ortaggi, caseina, sanse esauste e simili;

— scarti vegetali in genere (erbe, fiori, piante, verdure, ecc.), anche derivanti da lavorazioni basate su processi meccanici (bucce, baccelli, pula, scarti di sgranatura e di trebbiatura, e simili);

— residui animali e vegetali provenienti dall'estrazione di principi attivi

— accessori per l’informatica

3. Nel caso di assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani da parte dell’amministrazione comunale, si possono smaltire tramite il servizio pubblico, quelli (assimilati) prodotti in tutte le aree?

Su questo aspetto ci sono pareri controversi. Il Dlgs 152/2006, all’articolo 198, comma 2, lettera e), prevede  quanto segue:

“Non sono assimilati ai rifiuti urbani i rifiuti che si formano nelle aree produttive, compresi i magazzini di materie prime e di prodotti finiti, salvo i rifiuti prodotti negli uffici, nelle mense, negli spacci, nei bar e nei locali al servizio dei lavoratori o comunque aperti al pubblico; allo stesso modo, non sono assimilabili ai rifiuti urbani i rifiuti che si formano nelle strutture di vendita con superficie due volte superiore ai limiti di cui all’articolo 4, comma 1, lettera d), del dlgs n. 114 del 1998 …… Con decreto del Ministro dell’Ambiente, sono definiti, entro 90 giorni, i criteri per l’assimilabilità ai rifiuti urbani”

Con riferimento alle strutture di vendita si prende atto che non sono assimilabili i rifiuti prodotti nelle strutture con più di

- 450 mq nei comuni con meno di 10.000 abitanti residenti

- 750 mq nei comuni con più di 10.000 abitanti residenti

Infatti  Il dlgs 114/98 riguarda la riforma della disciplina del settore del commercio. L’articolo 4, comma 1, lett. d) di tale decreto cita: “per esercizi di vicinato quelli aventi superficie di vendita non  superiore a 150 mq. nei comuni con popolazione residente  inferiore a 10.000 abitanti e a 250 mq. nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti”

Nella sostanza dalla lettura della normativa sopra riportata, emerge inequivocabilmente (ad esempio) che i rifiuti che si formano nelle aree produttive (quindi si ritiene non dalle aree dedicate all’attività di erogazione di servizi), nei magazzini di prodotti finiti e di quelli delle materie prime, non possono essere immessi nel servizio pubblico in nessun caso. Quindi nessuna amministrazione comunale, anche volendo, potrebbe assimilare i rifiuti prodotti in tale aree. Conseguentemente non potrebbe (condizionale d’obbligo visto l’indifferenza alla norma da parte di molti comuni) neppure applicare la tassa o la tariffa dei rifiuti solidi urbani calcolata su tali superfici.

Le tesi sono quindi due:

1)      quella sostenuta ad esempio dalla Confartigianato di Vicenza, e già comunicata ai comuni in occasione di incontri dedicati, che ritiene la norma in questione già in vigore, e quindi l’assimilazione può riguardare solo i rifiuti delle attività di servizio e quelli prodotti nelle superfici non escluse.

2)      quella sostenuta da alcune amministrazioni comunali (generalmente quelle con molti abitanti e molte aziende), che sostengono invece che fino a quando non verranno emanati i criteri, da parte dello Stato, per l’assimilazione dei rifiuti, la norma che esclude le aree sopra richiamate non può essere considerata in vigore.

Vale la pena di evidenziare che la finanziaria 2007, all’art. 1 – comma 184, lett. b), precisa che nelle more della completa attuazione delle disposizioni recate dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni: ….b) in materia di assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, continuano ad applicarsi le disposizioni degli articoli 18, comma 2, lettera d) (determinazione dei criteri), e 57, comma 1, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.

Questo significa che la finanziaria del 2007 ha reintrodotto i criteri di assimilazione quali- quantitativi di cui alla delibera del Comitato Interministeriale del 27 luglio 1984.

Quindi non è vero che lo Stato deve definire i criteri per l’assimilazione dei rifiuti, in quanto questi sono già noti, vista la deliberazione del Comitato Interministeriali 27/07/1984. Potrà comunque aggiornarli, abrogarli, modificarli, ridefinirli, ecc.

Nella realtà l’atteggiamento generale è quello di attenersi a quanto regolamentato dal comune, ancorché questo possa essere in contrasto con la normativa (cosa che non sarebbe possibile).

Il suggerimento è quindi quello di prendere visione del regolamento comunale per lo smaltimento dei rifiuti urbani, nella parte relativa all’assimilazione, e vedere se prevede il servizio di smaltimento degli stessi, e in che termini.

4. L’amministrazione comunale cosa può decidere in ordine all’assimilazione dei rifiuti speciali?

Premesso quanto riportato al punto precedente, l’amministrazione comunale dovrebbe deliberare anzitutto se è in grado di smaltire anche i rifiuti prodotti dalle aziende. Conseguentemente può effettuare l’assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani. Dovrebbe deliberare quali sono i rifiuti assimilati che accetta di smaltire per il tramite del servizio pubblico e il limite quantitativo entro il quale i rifiuti diventano di fatto assimilati. Non è quindi vero che esiste un limite di 30 kg per singola entrata in “ecocentro” comunale. Questa è una decisione che deve essere deliberata dal Consiglio comunale.

Sono aspetti molto importanti, in quanto l’amministrazione può decidere di smaltire tramite il servizio pubblico, i rifiuti assimilati prodotti solo in alcune aree (es. uffici, magazzini, mostra), escludendo quelli prodotti nelle altre aree. Evidentemente questo implica una automatica non tassazione delle superfici in questione (nel caso della tariffa, potrà essere applicata il solo costo fisso, anche se permangono al riguardo diversi dubbi).

Altro elemento importante da considerare è il limite quantitativo per rifiuto assimilato che l’amministrazione comunale può deliberare. Anche in questo caso vi sono due tesi:

1)      Confartigianato Vicenza sostiene che, se il limite quantitativo imposto dal comune, affinché un rifiuto sia considerato assimilato, viene superato, automaticamente viene a cessare uno dei requisiti essenziali per l’assimilazione (il quantitativo). Nella sostanza non può essere assimilato tale rifiuto, e quindi non può essere smaltito nel servizio pubblico

2)      alcune amministrazioni comunali (le più grandi), sostengono invece che l’assimilazione vale fino al quantitativo stabilito, mentre per i quantitativi di rifiuti in eccesso, questi dovranno essere smaltiti privatamente. Questo ovviamente permette al comune di applicare la tassa o la tariffa dei rifiuti all’impresa. L’impresa invece dovrà pagare sia la tassa o tariffa dei rifiuti  ed inoltre pagare un soggetto terzo per lo smaltimento della rimanente parte dei rifiuti (la cosa, quantomeno, non sembra in linea con la normativa, ma si ritiene neppure con le intenzioni del legislatore. Inoltre non si capirebbe quando si dovrà cominciare a gestire i rifiuti nel contesto del relativo registro di carico e scarico, visto che per un certo quantitativo potranno essere immessi nel servizio pubblico - quindi non obbligo del registro -  e per altri quantitativi invece vige tale obbligo. In questo caso è chiaro a chiunque il forte rischio sanzionatorio in cui possono incorrere le aziende) 

5. Assodato che l’amministrazione comunale ha deliberato l’assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani, e che gli stessi possono essere smaltiti solo negli “ecocentri” comunali, per accedere agli stessi cosa bisogna fare?

Con l’assimilazione deliberata, le aziende possono portare i propri rifiuti assimilati, direttamente all’ecocentro comunale. Il quantitativo massimo di rifiuti trasportabili all’ecocentro deve essere quello previsto e deliberato dal comune. Se non è stato deliberato un limite quantitativo, questo dovrebbe significare che non esiste limite ai kg di rifiuti che possono essere portati all’ecocentro.

Per entrare all’ecocentro bisogna essere muniti  della scheda da utilizzare per la consegna dei rifiuti (assimilati) ai centri di raccolta comunali.

Vale la pena di evidenziare che il dlgs 152/2006, all’articolo 193 (trasporto rifiuti), al comma 1, prevede per gli enti e le imprese che trasportano i propri rifiuti non pericolosi l’obbligo del formulario per l’identificazione e il trasporto dei rifiuti stessi. Il comma 5, del medesimo articolo, specifica che tali disposizioni non si applicano al trasporto di rifiuti urbani effettuato dal soggetto che gestisce il servizio pubblico, né ai trasporti di rifiuti non pericolosi effettuati dal produttore dei rifiuti stessi, in modo occasionale e saltuario, che non eccedano la quantità di trenta chilogrammi o di trenta litri, né al trasporto di rifiuti urbani effettuato dal produttore degli stessi ai centri di raccolta.

Visto che l’assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani, li rende appunto tali, si ritiene di poter affermare, che non vi è più l’esigenza, per le imprese, di presentarsi presso gli “ecocentri” comunali, anche con i formulari, ma solo con la scheda sopra richiamata. Infatti il decreto legislativo 152/2006, all’articolo 184, comma 2, lettera b), specifica che sono rifiuti urbani “i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quelli di cui alla lettera a), assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità, ai sensi dell'articolo 198, comma 2, lettera g)”.

Ovviamente i rifiuti urbani (o i rifiuti speciali assimilati agli urbani e quindi urbani a tutti gli effetti), non sono soggetti alla tenuta del registro di carico e scarico dei rifiuti.

6. E’ necessaria l’iscrizione all’Albo nazionale dei gestori ambientali, per il trasporto dei propri rifiuti assimilati agli urbani, fino all’ecocentro comunale ?

E’ assolutamente necessaria l’iscrizione all’Albo nazionale dei gestori ambientali per tutte le aziende che trasportano i propri rifiuti. Tale obbligo è indipendente dal fatto che i rifiuti vengano portati ad un privato o all’ecocentro comunale. Non è neppure rilevante che il trasporto dei propri rifiuti sia riferito a quelli assimilati agli urbani (quindi urbani a tutti gli effetti) anziché a quelli speciali.

Con il decreto legislativo 152/2006, all’articolo 212, comma 8, viene precisato che “i produttori iniziali di rifiuti non pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri rifiuti, nonché i produttori iniziali di rifiuti pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri rifiuti pericolosi in quantità non eccedenti trenta chilogrammi o trenta litri al giorno sono tenuti ad iscriversi in un’apposita sezione dell’Albo nazionale dei gestori ambientali in base alla presentazione di una comunicazione alla sezione regionale o provinciale dell’Albo territorialmente competente che rilascia il relativo provvedimento entro i successivi trenta giorni. Con tale comunicazione l’interessato attesta sotto la sua responsabilità:

a) la sede dell’impresa, l’attività o le attività dai quali sono prodotti i rifiuti;

b) le caratteristiche, la natura dei rifiuti prodotti

c) gli estremi identificativi e l’idoneità tecnica dei mezzi utilizzati per il trasporto dei rifiuti, tenuto anche conto delle modalità di effettuazione del trasporto medesimo

d) l’avvenuto versamento del diritto annuale di registrazione di 50 euro peraltro rideterminabile

L’iscrizione deve essere rinnovata ogni 10 anni e l’impresa è tenuta a comunicare ogni variazione intervenuta successivamente all’iscrizione.

Sanzioni per la mancata iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali

L’articolo 256, comma1, del decreto legislativo 152/2006  (attività di gestione di rifiuti non autorizzata) precisa che “Chiunque effettua una attività di trasporto di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui all’articolo 212 (quindi anche il trasporto dei propri rifiuti) è punito:

a) con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;

b) con la pena dell'arresto da sei mesi a due anni e con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi.

  • Data inserimento: 30.08.11