Corte di Cassazione: dinanzi ad un rifiuto con codice "a specchio", il detentore deve eseguire le analisi (chimiche, microbiologiche, ecc.)

Le analisi sono necessarie per accertare l'eventuale presenza di sostanze pericolose, e l'eventuale superamento delle soglie di concentrazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 46897 del 09/11/2016, ha affermato che, in caso di gestione di rifiuti con un codice “a specchio” (previsto nelle ipotesi in cui una medesima operazione o processo produttivo possano derivare, in alternativa, un rifiuto pericoloso o non pericoloso) il produttore/detentore è tenuto, per classificare il rifiuto e attribuire il codice (pericoloso/non pericoloso), ad eseguire le necessarie analisi per verificare l’eventuale presenza di sostanze pericolose ed il superamento delle soglie di concentrazione, e solo nel caso in cui siano accertati in concreto l’assenza o il mancato superamento di dette soglie, il rifiuto, con codice “a specchio”, potrà essere classificato come non pericoloso

Nella sostanza, in via generale, l'attribuzione del relativo codice CER è determinata dalla effettiva origine del rifiuto, sebbene, talvolta sono necessari accertamenti analitici, cosicché la verifica della corretta attribuzione del codice costituisce un accertamento in fatto.

Pertanto, compete al detentore del rifiuto dimostrare in concreto che, tra i due codici "a specchio", il rifiuto vada classificato come non pericoloso, previa caratterizzazione dello stesso; in mancanza, il rifiuto va classificato come pericoloso

In allegato la sentenza della Corte di Cassazione 09/11/2016, n. 46897