Nelle società a ristretta base societaria (tipicamente quelle a gestione familiare) i soci si presumono destinatari di quanto non dichiarato dalla “piccola” compagine, salvo prova contraria da dimostrare in concreto.
In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è considerata legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà per il contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati invece accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti o che di essi se ne sia appropriato altro soggetto, non essendo tuttavia a tal fine sufficiente la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili (rif. Cass. n. 26032 del 2024, Cass. n. 21158 del 2024; nonché Cass. n. 24820 del 2021).
In particolare, si è chiarito che la presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale (Cass. n. 9519 del 2009).
È stato altresì precisato che, salvo prova contraria a carico del socio, si presume che la distribuzione sia avvenuta:
nella considerazione che, in mancanza di una deliberazione ufficiale di approvazione del bilancio (soltanto dopo la quale può essere effettuata la distribuzione degli utili dichiarati) trattandosi di utili occulti, la distribuzione ai soci degli utili extracontabili si presume avvenuta nello stesso periodo d’imposta in cui gli utili sono stati conseguiti dalla società.