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di gennaio si considerano percepite nel periodo d’im-
posta precedente.
Da ciò consegue che i compensi erogati ai collaboratori
entro la data del 12 gennaio 2013 e riferiti a prestazio-
ni effettuate entro il 31 dicembre 2012 sono da calco-
lare con le aliquote contributive in vigore nel 2012.
5) Minimale per l’accredito contributivo
Per qua nto concerne l’accredito dei contributi, basato
sul minimale di reddito di cui all’articolo l, comma 3,
della legge n. 233/1990, si comunica che per l’anno
2013 detto minimale è pari ad
euro 15.357,00.
Pertanto gli iscritti per i quali il calcolo della contribu-
zione avviene con l’aliquota del 20 per cento avranno
l’accredito dell’intero anno con un contributo annuo di
euro 3.071,40, mentre gli iscritti per i quali il calcolo
della contribuzione avviene con l’aliquota del 27,72 per
cento avranno l’accredito dell’intero anno con un con-
tributo annuo pari ad euro 4.256,96 (di cui 4.146,39 ai
fini pens ionistici).
Com’è noto, qualora alla fine dell’anno il predetto mi-
nimale non sia stato raggiunto, vi sarà una contrazione
dei mesi accreditati in proporzione al contributo ver-
sato.
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sicurezza
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Cassazione e sicurezza sul lavoro: risponde
sempre il datore di lavoro se il lavoratore
è stato assunto da poco tempo ed è
giovanissimo e inesperto.
Nella specie non era emerso che il comportamento del
lavoratore - il quale, nel piegare un tondino di ferro, era
stato attinto ad un occhio da una scheggia - fosse stato
abnorme o imprevedibile
La massima
Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortu-
ni sul lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazio-
ni pericolose, tutelano il lavoratore non solo dagli in-
cidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da
quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed impruden-
za del lavoratore stesso, con la conseguenza che il da-
tore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio oc-
corso al lavoratore. Responsabilità presente, sia quan-
do questo ometta di adottare le idonee misure protetti-
ve, sia quando non accerti e vigili che di queste misure
venga fatto effettivamente uso da parte del dipenden-
te, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per
l’imprenditore, all’eventuale concorso di colpa del lavo-
ratore, la cui condotta può comportare, invece, l’esone-
ro totale del medesimo imprenditore da ogni respon-
sabilità solo quando presenti i caratteri dell’abnormità,
inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al
procedimento lavorativo “tipico” ed alle direttive rice-
vute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento.
Il caso
Il caso riguarda un apprendista, al lavoro da una venti-
na di giorni, che, nel piegare tondini di ferro lunghi 10-
12 cm, è stato colpito ad un occhio da una scheggia.
Dagli accertamenti effettuati è emerso che gli occhiali
protettivi si trovavano nel luogo di lavoro e che il loro
uso era obbligatorio per disposizione dell’imprendito-
re; che il capo officina aveva addestrato il lavoratore
per l’esecuzione del lavoro cui era stato addetto, consi-
stente nel piegare tondini di ferro con un martello, do-
po averli bloccati con una morsa e che il lavoro era di
facile esecuzione. In sede giudiziale la Corte di Appello
di Venezia aveva riconosciuto la responsabilità del da-
tore di lavoro e lo aveva condannato al pagamento, a
favore dell’Inail, della somma equivalente dell’inden-
nizzo pagato dall’Istituto (euro 80.750,31). La socie-
tà ha quindi presentato ricorso alla Corte di Cassazio-
ne, contestando la sentenza di merito, in quanto a suo
parere, i giudici, non hanno considerato che il datore
di lavoro aveva dimostrato di aver fatto tutto il possi-
bile per evitare l’infortunio. La difesa sostanzialmente
contestava la decisione della Corte d’appello anche per
non aver giudicato anomalo e prevedibile il compor-
tamento dell’apprendista, poiché egli, piegando il fer-
ro con l’incudine e non (come avrebbe dovuto) con la
morsa, aveva svolto un lavoro per il quale non era stato
adibito.
La Cassazione, nella sua decisione, ha confermato in-
vece che le norme sulla sicurezza sul lavoro sono di-
rette a tutelare il lavoratore anche dagli incidenti deri-
vanti dalla sua imperizia, imprudenza e negligenza. Per
questo motivo, il datore di lavoro, è inevitabilmente re-
sponsabile dell’infortunio al lavoratore sia se omette di
adottare le idonee misure protettive sia se non accerta
e non vigila che il dipendente ne faccia uso. Inoltre la
Cassazione ha espresso anche un principio più strin-
gente in relazione alla giovane età del lavoratore e alla
sua mancanza di esperienza lavorativa, ovvero il dove-
re di garantire la sicurezza, diviene particolarmente an-
cora più intenso, in questi casi, per il datore di lavoro.
La sentenza della Corte di Cassazione – Sez. Lavoro –
Sentenza 10/01/2013, n. 536
Motivi della decisione
1.
Con il primo motivo, corredato dal relativo quesito di di-
ritto ex art. 366 bis c.p.c., allora in vigere, la società ri-
corrente denunzia contraddittoria motivazione (art. 36o,
prima comma, n. 5, c.p.c.), in relazione agli articoli 11
d.p.r. n. 1124 del 1965, 2087 e 2097 c.c., 4 d.p.r. n. 547
del 1955.
Rileva che la Corte di merito da un lato ha ritenuto il da-
tore di lavoro responsabile dell’infortunio occorso al la-
voratore per avere omesso di provare di avere fatto tutto
il possibile per evitare l’evento; dall’altro ha afferma-
to, sulla scorta della prova testimoniale, che gli occhiali
protettivi si trovavano nel luogo di lavoro; che il loro
uso era obbligatorio per disposizione dell’imprenditore;
che il capo officina aveva addestrato il lavoratore per
l’esecuzione del lavoro cui era stato addetto, consisten-
te nel piegare tondini di ferro lunghi 10-12 cm. con un
martello, dopo averli bloccati con una morsa; che tale
lavoro era di facile esecuzione e non comportava rischi.
Tutti tali elementi dimostravano che il datore di lavoro,
contrariamente a quanto affermato dal giudice d’appel-
lo, aveva assolto all’onere probatorio posto a suo carico,
e cioè di avere adottato tutte le precauzioni atte a scon-
giurare l’evento.
Né l’uso degli occhiali protettivi - ancorché presenti
nell’officina - era necessario, trattandosi di lavoro che
non comportava produzione di schegge.
2.
Con il secondo motivo, cui fa seguito il relativo quesito
di diritto, il ricorrente, denunziando violazione e falsa
applicazione di norme di legge (artt. 2049 c.c. e 4 d.p.r.
n. 547 del 1955) nonché vizio di motivazione circa un
fatto controverso e decisivo per il giudizio, deduce che
la Corte di mento, per affermare la responsabilità del
datore di lavoro, ha richiamato l’art. 2049 c.c.
Tale richiamo è però erroneo, riguardando esclusiva-
mente la responsabilità civile del datore di lavoro verso
i terzi per fatto illecito del dipendente. Conseguente-
mente la sentenza è giuridicamente errata.
3.
Con il terzo motivo è denunciata violazione dell’art. 360,
primo comma, n. 3 e 5, c.p.c. nonché falsa applicazione
degli artt. 2087 c.c. e 4 d.p.r. n. 547.
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13
Venerdì
8
marzo
2013