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Approvo

Cassazione: possibile tassare i magazzini con la TARI

Per l’applicazione della TARI nelle diverse superfici aziendali, deve essere dichiarata nel regolamento comunale l’assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani, per quantità e qualità

Estendendo alla TARI l'interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità in tema di TARSU (la vecchia tassa dei rifiuti)  la tariffa deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale, salva l'applicazione sulla stessa di un «coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l'attività di recupero dei rifiuti stessi» e chiaramente presuppone l'assoggettamento all'imposta dei soli rifiuti urbani e salvo il diritto ad una riduzione della tassa in caso di produzione di rifiuti assimilati « smaltiti in proprio».

In tale materia grava sul contribuente l'onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare dell'esenzione.

La Corte di Cassazione ha già precisato che: «i residui prodotti in un deposito o magazzino non possono essere considerati residui del ciclo di lavorazione, per cui risulta ininfluente che possano essere qualificati o meno come rifiuti assimilati agli urbani. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la esenzione o riduzione delle superfici tassabili deve intendersi limitata a quella parte di esse su cui insiste l'opificio vero e proprio, perché solo in tali locali possono formarsi rifiuti speciali, per le specifiche caratteristiche strutturali relative allo svolgimento dell'attività produttiva, mentre in tutti gli altri locali destinati ad attività diverse, i rifiuti devono considerarsi urbani per esclusione, salvo che non siano classificati rifiuti tossici o nocivi, e la superficie di tali locali va ricompresa per interno nell'ambito della superficie tassabile (uffici, depositi, servizi ecc. ).

L'impossibilità di produrre rifiuti deve dipendere da fattori oggettivi e permanenti e non dalla contingente e soggettiva modalità di utilizzazione dei locali. La Cassazione ha precisato che: «La situazione che legittima l'esonero si verifica allorquando l'impossibilità di produrre rifiuti dipende dalla natura stessa dell'area o del locale, ovvero dalla loro condizione di materiale ed oggettiva inutilizzabilità ovvero dal fatto che l'area ed il locale siano stabilmente, e cioè in modo permanentemente e non modificabile, insuscettibili di essere destinati a funzioni direttamente o indirettamente produttive di rifiuti. La funzione di magazzino, deposito o ricovero è invece una funzione operativa generica e come tale non rientra nella previsione legislativa». Peraltro la Corte, già con la sentenza n. 2814 del 2005, aveva affermato che: «i magazzini, qualora siano destinati al ricovero di beni strumentali o delle scorte da impiegare nella produzione o nello scambio, concorrono all'esercizio dell'impresa e vanno perciò riguardati come aree operative, al pari degli stabilimenti o dei locali destinati alla vendita».

Nel caso trattato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 22/09/2017, n.22130, non si vede sotto quale profilo l'adibizione dell'area a deposito di materiale ferroso potrebbe farlo considerare escluso dalla possibilità di produrre rifiuti, trattandosi di un'area adibita a deposito per la quale la normativa non contempla alcuna ipotesi di esenzione.

In allegato la sentenza della Corte di Cassazione 22/09/2017, n. 22130.

  • Data inserimento: 02.10.17