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Cassazione: nel caso d’infortunio sul lavoro la responsabilità del datore di lavoro viene meno in presenza di un comportamento del lavoratore abnorme, esorbitante o comunque imprevedibile

Nel tempo si è assistita a un’evoluzione del concetto di condotta del lavoratore che esclude la responsabilità del datore di lavoro

In caso d’infortunio sul lavoro la responsabilità del datore di lavoro è estremamente ampia, al punto dal non essere esclusa neppure in presenza di condotte negligenti o trascurate del lavoratore che pure abbiano contributo alla verificazione dell’incidente. La condotta colposa del lavoratore infortunato non viene vista come da sola sufficiente a produrre l’evento-infortunio “quando sia comunque riconducibile all’area di rischio proprio della lavorazione svolta”.

L’interpretazione diffusa della normativa antinfortunistica investe il datore di lavoro, titolare di una posizione di garanzia in relazione all’incolumità fisica del lavoratore, di un obbligo di vigilanza praticamente totale sui lavoratori.

Lo stesso d.lgs. 81/2008 (T.U. in materia di sicurezza e lavoro) impone al datore di lavoro di esigere il rispetto delle regole di cautela da parte del lavoratore (art. 18, comma 1 lett. f) e delinea un vero e proprio dovere di vigilanza del datore di lavoro e del dirigente sull’adempimento degli obblighi previsti a carico dei lavoratori stessi ( art. 18 , comma 3 bis).

Non si è esenti da colpa neppure nel caso di distrazione del dipendente in quanto la distrazione è facilmente prevedibile dal datore di lavoro, tenuto a fare il possibile per proteggere il lavoratore dalla sua stessa imprudenza.

La giurisprudenza si è pronunciata in più occasioni sulla necessità di un controllo continuo e pressante da parte del datore di lavoro - diretto o per interposta persona - al fine di imporre ai lavoratori il rispetto della normativa. Si tratta di un modello “iperprotettivo”.

Ma allora quando il datore di lavoro non risponde dell’infortunio? Secondo l’originaria giurisprudenza nel solo caso di comportamento abnorme del dipendente. E quando una condotta si può definire abnorme? Per tale s’intende una condotta del lavoratore imprevedibile al di fuori del contesto lavorativo e che nulla ha  a che vedere con l’attività svolta. Si tratta di casi limite e di difficile verificazione pratica con il risultato di una responsabilità quasi automatica del datore di lavoro in caso d’infortunio.

Negli ultimi anni si è assistito, però, ad una maggiore apertura da parte della giurisprudenza che ha affiancato al concetto di comportamento abnorme quello di comportamento esorbitante. Il comportamento del lavoratore s’intende esorbitante quando fuoriesce dall’ambito delle mansioni, ordini, disposizioni impartite dal datore di lavoro o da chi ne fa le veci, nell’ambito del contesto lavorativo. Pertanto il datore di lavoro non è responsabile non solo nel caso di condotte estranee alle mansioni affidate al lavoratore (comportamento abnorme) ma anche nel caso di comportamento che, pur rientrando nel segmento di lavoro del lavoratore e pur essendo strettamente connesso all’attività lavorativa, sia assolutamente imprevedibile (comportamento esorbitante).

In pratica quando si discute di attività strettamente connessa con lo svolgimento dell’attività lavorativa, ciò che conta è la considerazione della prevedibilità/imprevedibilità della condotta.

 In questo senso i giudici della Suprema Corte si sono pronunciati con sentenza n. 8883 del 03/03/2016 con la quale veniva assolto l’amministratore unico e il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) dal reato di omicidio colposo, entrambi non rispondendo della caduta dal tetto di un lavorato dal momento che tutte le cautele possibili erano state puntualmente adottate e l’evento (caduta dall’alto) derivava da una condotta imprevedibilmente colposa del lavoratore.

Stiamo assistendo ad un’evoluzione della giurisprudenza della Corte di Cassazione verso una maggiore considerazione della responsabilità dei lavoratori: si abbandona “ il criterio esterno delle mansioni e si sostituisce il parametro della prevedibilità”.

La sentenza n. 24139 del 10 giugno 2016 ribadisce l’indirizzo giurisprudenziale che accoglie un modello più “collaborativo”, in cui gli obblighi in materia di sicurezza sono ripartiti tra più soggetti, compresi gli stessi lavoratori.

Nel caso oggetto della sentenza in commento, il lavoratore era rimasto impigliato nel nastro trasportatore in movimento con conseguente amputazione di una gamba e grave shock emorragico di esito fatale.

Già in primo grado il giudice assolveva dal reato di omicidio colposo, per insussistenza del fatto, sia il datore di lavoro che il preposto in quanto l’infortunio era stato causato da comportamento individuato come abnorme del lavoratore infortunato, comportamento che risultava inspiegabile rispetto alle mansioni assegnate al dipendente.

In seguito la Corte di Appello aveva ribaltato la sentenza di primo grado condannando gli imputati poiché il comportamento del lavoratore non doveva considerarsi abnorme, avendo compiuto un’operazione rientrante nelle sue effettive attribuzioni e nel segmento di lavoro affidatogli.

Contro la sentenza della Corte di Appello i difensori di entrambi gli imputati hanno proposto ricorso in Cassazione.

La Corte ha rilevato la contraddittorietà delle affermazioni contenute nella sentenza della Corte di Appello impugnata e, accolto l’appello dei difensori, ha annullato la sentenza con rinvio alla stessa Corte di Appello: il problema, in questa prospettiva, è quello di ricostruire in che termini la condotta del lavoratore possa ritenersi imprevedibile e inevitabile, così da poter assurgere a causa unica ed autonoma dell’infortunio, con esclusione della responsabilità del datore di lavoro.

 

 

Informazioni possono essere chieste alla dott.ssa Alessandra Cargiolli del settore ambiente di Confartigianato Vicenza (tel. 0444 168357.)

 

In allegato la sentenza della Corte di Cassazione 10/06/2016, N. 24139

 

 

 

  • Data inserimento: 25.07.16